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Whistleblowing: di cosa si tratta, la normativa, chi deve adeguarsi e quando

Dal 17 dicembre 2023 le aziende italiane devono adeguarsi alle nuove norme europee inerenti alla protezione dei propri dipendenti dal rischio di ritorsioni, nel caso in cui intendano segnalare comportamenti illeciti all’interno delle loro organizzazioni.

Cos’è il Whistleblowing?

Con il termine “Whistleblowing” – letteralmente “soffiare nel fischietto” – ci si riferisce a un atto in cui un individuo, solitamente un dipendente, rivela informazioni sulle attività dell’azienda per cui lavora che sono illegali, immorali o implicano comportamenti scorretti.

Cosa si può segnalare?

Con il Whistleblowing si possono segnalare omissioni o atti illeciti in diversi ambiti, ad esempio: sicurezza e conformità prodotti; sicurezza nei luoghi di lavoro; sicurezza dei trasporti; tutela dell’ambiente; radioprotezione e sicurezza nucleare; sicurezza degli alimenti e dei mangimi e salute e benessere degli animali; salute pubblica; protezione dei consumatori; tutela della vita privata e protezione dei dati personali e sicurezza delle reti e dei sistemi informatici; così come illeciti amministrativi, contabili, civili o penali.

Chi può segnalare?

Oltre alle persone facenti parte dell’azienda, la nuova legge di attuazione della Direttiva Europea amplia la definizione di whistleblower (o “spifferatore di segreti”) a categorie finora escluse dalla legislazione nazionale, tra cui gli ex dipendenti e candidati a posizioni lavorative, i lavoratori autonomi, i liberi professionisti, i consulenti, i volontari, i tirocinanti, gli azionisti e gli stakeholder.

La normativa

Come anticipato, il whistleblowing è uno strumento che permette, alle persone che lavorano in aziende pubbliche o private, di segnalare in forma anonima una violazione “di disposizioni normative nazionali o dell’Unione Europea che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato, di cui siano venute a conoscenza in un contesto lavorativo pubblico o privato” (articolo 1, comma 1 del D.Lgs 10 marzo 2023, n. 24).

Il tema del whistleblowing, in Italia, è stato regolamentato dapprima nel settore pubblico, con la legge 90/2012, con l’obbligo per le Pubbliche Amministrazioni di dotarsi di sistemi di prevenzione alla corruzione.

In seguito, con la legge 179/2017, le tutele in questo senso sono state allargate anche nel settore privato. Questa legge ha creato una connessione con il D.Lgs. n. 231/2001 e, appunto, con il Modello Organizzativo 231, ovvero l’insieme di regolamenti e procedure che indica alle aziende come devono essere strutturate e come gestire i relativi processi interni, in un’ottica di legalità, trasparenza, correttezza, responsabilità, tutela e rispetto.

Ora, con il D.Lgs. 24/2023, l’Italia ha recepito la Direttiva UE 2019/1937 sul whistleblowing, con l’obiettivo di garantire un elevato livello di protezione a chi effettua le segnalazioni sopra menzionate.

La nuova normativa tutela, dunque, i “whistleblowers” senza distinzione tra ambito pubblico e privato, considerando come tali tutti coloro che sono collegati a un’organizzazione e che potrebbero avere ritorsioni in caso di segnalazione di una violazione (le misure di protezione includono, ad esempio, anche i “facilitatori”, ovvero coloro che aiutano il segnalante nel processo di segnalazione e la cui assistenza deve essere mantenuta riservata. Oppure colleghi o persone dello stesso contesto lavorativo).

Sanzioni previste

Il decreto 24/2023, all’articolo 21, specifica quali sono le sanzioni amministrative pecuniarie che l’ANAC può applicare al responsabile (fermi restando gli altri profili di responsabilità).

In particolare, sono previste sanzioni:

  • Da 10 mila a 50 mila euro, quando vengono accertate ritorsioni, quando la segnalazione è stata ostacolata (o si è tentato di farlo) oppure viene violato l’obbligo di riservatezza;
  • Da 10 mila a 50 mila euro, quando non sono stati istituiti canali di segnalazione, quando non sono state adottate le procedure di effettuazione e gestione delle segnalazioni oppure qualora non sia stata svolta attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute;
  • Da 500 a 2.500 euro, “nel caso di cui all’articolo 16, comma 3, salvo che la persona segnalante sia stata condannata, anche in primo grado, per i reati di diffamazione o di calunnia o comunque per i medesimi reati commessi con la denuncia all’autorità giudiziaria e contabile”.
Chi deve adeguarsi ed entro quando

Le scadenze per l’attuazione delle norme del D.Lgs 24/2023 sono diversificate sulla base della dimensione aziendale o sul tipo di attività e dell’organizzazione.

Per il calcolo dei dipendenti medi si potrà fare riferimento alla normativa vigente per altri istituti, per cui vanno computati:

  • Lavoratori subordinati a tempo indeterminato e pieno
  • Lavoratori con rapporto part-time (pro-quota)
  • Lavoratori con rapporto a tempo determinato
  • Lavoratori intermittenti

Di seguito una tabella riepilogativa:

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